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RoboTEEN. Un motore per parlare di adolescenti e di futuro

RoboTEEN. Un motore per parlare di adolescenti e di futuro

RoboTEEN. Un motore per parlare di adolescenti e di futuro

Ci stiamo prendendo gusto! Guardate un pò cosa sono riuscita a spremere fuori da un riottoso adolescente grazie ad un semplice motorino elettrico 😎 Abbiamo parlato di Futuro, di mettersi in moto, di comunicazione genitori-figli (questa semisconosciuta 😅)

👉Se sei un genitore e vuoi raccontare la tua, scrivi!
👉Se sei un genitore e hai qualche domanda da fare ad un adolescente… chiedi! (cercherò un nuovo componente elettrico per farlo parlare 😎)
👉 Se hai voglia di approfondire il progetto Roboteen, fai un giro qui: www.roboteen.it

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Avventura RoboTEEN. Come tutto è cominciato…

Avventura RoboTEEN. Come tutto è cominciato…

Avventura RoboTEEN. Come tutto è cominciato…

La vita sa essere meravigliosamente ironica a volte… Poteva un ex-frustrato Ingegnere-ma-volevo-fare-altro ricevere in custodia dall’universo niente meno che un giovane appassionato di… ROBOTICA?

A quanto pare… no 😅 
Ecco com’è cominciata questa nuova avventura.

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Cosa fare quando hai un lavoro che non vale abbastanza?

Cosa fare quando hai un lavoro che non vale abbastanza?

Cosa fare quando hai un lavoro che non vale abbastanza?

Quando hai un lavoro che non ti realizza… un lavoro che ti impegna troppo ma ti paga poco… quando il tuo cuore vorrebbe fare altro ma non sa cosa fare… cosa si fa?

In questo video la risposta che ho dato ad una giovane ingegnere insoddisfatta. (No, stavolta non sono io l’ingegnere in questione!)

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Un lavoro diverso è possibile

Un lavoro diverso è possibile

Un lavoro diverso è possibile

 “L’economia dovrebbe interessarsi non solo dell’allocazione efficiente dei beni materiali ma anche della progettazione di istituzioni nelle quali i soggetti sono felici di interagire tra di loro” scriveva qualche tempo fa sull’American Economic Review Matthew Rabin, docente brillante dell’Università di Harvard.

Come dire: Lavoratori felici = Aziende più competitive.

Lo so, per moltissimi oggi ancora, parlare di “felicità” sul lavoro sembra quasi una contraddizione in termini, un vero e proprio contro-senso.

Per fortuna però, sempre più spesso oggi, non solo aumentano le evidenze scientifiche che dimostrano come la felicità sul lavoro sia ormai un vero e proprio principio di “buon governo aziendale”, ma aumenta anche il numero di persone brillanti che hanno più voglia di pensare al futuro che rimuginare sul passato.

Dove le trovi?

Beh, nei giorni scorsi ne potevi trovare diverse decine a Firenze, al Festival Nazionale dell’Economia Civile (si è conclusa giusto ieri l’ultima edizione).

Di Festival oggi si sa, ce ne sono tanti, ma questo mi piace particolarmente perché, come scrivono sul loro sito è “un luogo di incontro per dare forza e slancio a una grande, democratica e generativa, mobilitazione di persone, imprese e associazioni per una nuova economia. Un Festival che dà voce a una società civile in movimento: giovani che coniugano profitto e impatto sociale, imprenditori campioni nella creazione di valore sostenibile, comunità che coltivano semi di cambiamento che trasformano la realtà.”

 Per dirla come nel mio Libro (www.unlavorochevale.it), quello di questo fine settimana a Firenze era un vero e proprio covo di meravigliose Aziende GIVER.

Aziende “virtuose”. Non nel senso di buone, brave o “santerelle”. No. Sono virtuose nel senso originario del termine. L’aretè, la virtù, per i greci era, infatti, la qualità dell’eccellenza. La capacità di portare a compimento e far fiorire le proprie potenzialità. Definiamo, per questo, un pianista, virtuoso, o di un poeta diciamo che è un virtuoso della parola.  

Aziende pensate e fatte da LavorArtisti insomma, come li definisco nel mio secondo libro (www.libromissionelavoro.it), lavoratori appassionati di ciò che fanno, pieni di creatività, voglia di contribuire, capacità di innovare, fiuto per cercare opportunità di crescita e voglia di fare la differenza attraverso il chiedersi di più, anziché il lamentarsi per il “di meno”. E così succede che queste imprese eccellono, nel senso che fanno fiorire persone e luoghi, idee e territori, non accontentandosi dell’ordinario, ma andando alla ricerca dello straordinario.

E come lo cerchi lo straordinario se non dando risorse e strumenti di creatività, soddisfazione e maggior benessere personale ai tuoi stessi lavoratori? Non certo spremendoli come limoni.

E non parlo solo di spremere i lavoratori dal punto di vista economico perché, come queste aziende innovative ben dimostrano, quando cambi il paradigma tutto cambia. Quando cominci ad INCLUDERE i tuoi dipendenti all’interno della tua visione aziendale come RISORSA principale anziché come semplice costo, allora tutto cambia.

Per cambiare bisogna cominciare a farci entrare nel sangue, nel cuore e nel cervello che sono davvero finiti i tempi del “Paron” o del “Commenda” che comanda tutto da solo e fa tutto da solo. In un mondo iper connesso, iper tecnologico e iper globale quale quello in cui siamo è indispensabile imparare a fare SQUADRA.

Ma non così, giusto per far contento il responsabile del personale. Serve imparare a creare una SQUADRA STRAORDINARIA per la sua capacità di produrre VALORE, RISOLVERE PROBLEMI e COLLABORARE per l’ECCELLENZA.  

Lo so, non è esattamente dire poco. Per questo sempre più aziende oggi fanno così tanta fatica ad affrontare il mercato del lavoro 4.0. Mancano i requisiti fondamentali alla base. Manca un’adesione reale dei lavoratori all’azienda. Manca, troppo spesso, una visione e un progetto dell’azienda per creare adesione e reale partecipazione dei propri lavoratori, oltre che fornire loro strumenti adeguati per rispondere al meglio alle esigenze aziendali.

Ecco perché le aziende Giver di Firenze (chissà poi quante altre ce ne sono in giro di cui non conosciamo l’esistenza!) sono imprese che producono “valore”. Non solo ricchezza, ma valore. A differenza delle aziende “sucker”, le succhiasangue come le chiamo in “Un Lavoro che Vale”, che invece si limitano a TOGLIERE risorse alle persone con le quali interagiscono e ai territori nei quali operano. Basta pensare l’industria dell’azzardo, chi produce armi, le imprese fortemente inquinanti, ma anche le imprese che offrono lavori inutili.

Le aziende Giver di cui si è sentita voce a Firenze invece portano valore e sono… BELLE.

C’è l’impresa che attraverso la moda e la creatività, riciclando materiali di scarto, porta dignità e una professione alle donne in carcere. E poi quella che produce generatori solari che, al contempo, depurano l’acqua e forniscono accesso ad Internet per le città del futuro.

C’è anche la multinazionale che, oltre ai punti vendita, fonda empori dove chi ha bisogno può prendere in prestito attrezzi e materiali per i lavori casalinghi. Sono imprese civili, plurali, bio-diverse, ibride.

Sono imprese fatte principalmente di “relazioni”, che  vanno alla ricerca di nuove domande, fanno emergere nuovi bisogni, scrutano i luoghi e le persone per coglierne le domande inespresse.

 “Eh, ma c’è la concorrenza, i cinesi mi mordono i calcagni… non ho tempo per formare i miei dipendenti, lavorare sulle relazioni… devo far quadrare i conti a fine mese io!  Li assumo perché mi dovrebbero aiutare e invece pare che non aspettino altro che succhiarmi lo stipendio a fine mese!” 

Questa, per molti imprenditori è la sensazione diffusa: i lavoratori sono spesso piantagrane e troppo poco produttivi. Sicuramente molto più interessati al loro tornaconto che al bene dell’azienda. Per tanti imprenditori la percezione di essere all’interno di un rapporto sbilanciato in cui ciò che ricevono in cambio dai propri lavoratori è molto inferiore a quello che sentono di dare.

Poi però, guarda caso, la stessa identica sensazione accomuna molti lavoratori. Insoddisfatti, si trascinano in una angosciante routine casa-lavoro, senza nessuna voglia, né passione.

Il venticinque percento dei lavoratori nei paesi avanzati, soprattutto giovani, percepisce il proprio lavoro come inutile. Le imprese civili invece creano e distribuiscono valore condiviso, che tracima oltre i confini dell’organizzazione per inondare l’ambienta nel quale operano.

E allora che si fa?

Innanzitutto si prende atto che non tutte le aziende sono succhiasangue e non tutti i lavoratori sono dei fannulloni.

In secondo luogo si affronta la realtà dei fatti: non è una questione di assumere meglio o diversamente. Molto spesso un lavoratore brillante per una certa realtà – a contatto con compiti, mansioni e contesto diversi diventa un lavoratore che si spegne e finisce per chiedersi sempre di meno e dare sempre di meno.

Infine si comincia a chiedersi DI PIU’. Di più come azienda e di più come lavoratori.

Come azienda, mai come oggi, è il momento di fermarsi a riflettere quanta attenzione e intenzione stiamo mettendo nella guida dei nostri lavoratori: sono numeri che mandano avanti la baracca, o sono persone da cui, con un po’ di buona volontà e una strategia efficace, potremmo riaccendere passione, entusiasmo e voglia di fare la differenza?

Come lavoratori, mai come oggi, è il momento di rendersi conto che – nonostante la crisi – le opportunità di crescita e di cambiamento sono tantissime. Solo che dobbiamo imparare a riconoscerle, trovarle, scovarle.

Come insegna il Festival, queste “imprese civili” esistono e sono tante; piccole, forse, ma molto concrete. Sono figlie della nostra creatività tutta italiana che non aspetta altro che essere richiamata all’azione.

Una chiamata al diventare LavorArtisti appassionati, non più solamente lavoratori o imprenditori insoddisfatti, frustrati, stressati che si trascinano stancamente combattendo la loro silenziosa guerra quotidiana in attesa del prossimo momento di tregua nel weekend (forse… email e straordinari permettendo).

E’ solo quando il lavoro diventa Arte, che finalmente smette di diventare Lavoro!

Fonte https://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2019-03-30/addio-profitto-scopo-dell-impresa-e-felicita-chi-ne-fa-parte-152327.shtml

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“Non azzardarti a volare basso, amico mio. Non sentirti in colpa se hai obiettivi alti. Quei sogni sono stati piantati come semi nella tua anima per un motivo ed è tuo dovere onorarli. Non frenarti nella vita solo per confortare o placare chi ti sta intorno. Trattenersi non è umiltà: è mentire”  Cit. B. Burchard

#IoNonMiAccontento. La vita è una, voglio che ne valga la pena

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Sara mi guarda con gli occhioni grandi quanto quelli di un cerbiatto spaventato. 

E’ bella, di una bellezza timida ma commuovente quanto quella di una bambina, nonostante sia già ormai oltre i 35 anni.

Laureata, avvocato-ma-volevo-fare-altro, si trascina stancamente fra aule di tribunale, fotocopiatrici rumorose e volumi polverosi scritti in azzeccagarbugliese.

Si chiede come mai sia finita a fare questa vita. Proprio lei.

Lei che amava il sole, la libertà, il mare, correre fino a perdere il fiato e poi sdraiarsi sulla sabbia calda nel sole rovente dell’estate… l’unica cosa su cui ora poteva sdraiarsi era il letto del suo monolocale in centro, scaldato solo dal suo gatto Romeo.

Dimmi, cosa c’è che non va in me?” mi chiede, sperando finalmente di incontrare una risposta che le dia sollievo. O forse, più che altro, un senso.

Perché per le persone come Sara – e come me per tanti anni – la faccenda è che la vita, così, non ha un senso.

Non importa quanto guadagni.

Non importa quanto ti invidiano gli altri.

Non importa quanto sembri intelligente e brillante.

La sera, quando tutti i rumori e le corse della giornata sono finite, tu sei lì solamente con te stesso e ti chiedi:

Ma chi me lo fa fare di continuare così anche un solo altro giorno?

Guardo Sara intensamente negli occhi, quasi cercassi di abbracciarla nel tentativo di passarle la mia certezza di oggi. Quella certezza che – oggi – sa che Sara ce la può fare e che non ce niente che non va in lei.

Per prima cosa, cerca di rilassarti. Fai un bel respiro profondo e lasciati andare sulla sedia. So che vivi spesso come se fossi seduta su un sedile di spine. E’ normale, normalissimo.

Quando hai la percezione che la tua vita non è sotto il tuo controllo; quando sei ormai convinta che hai sbagliato strada ma non hai idea di come fare per cambiare rotta e ti sembra che ormai sia invariabilmente troppo tardi… è normale sentirsi pieni di tensione, stress e soprattutto paura.

Sara mi guarda e annuisce con i suoi occhioni da Bambi mentre cerca di trovare una posizione un po’ più comoda sulla poltrona del mio ufficio.

“Ok, brava. Allora Sara, ascoltami. Per prima cosa dobbiamo gettare nuove solide basi. Dobbiamo aiutarti a vedere nuove possibilità e soprattutto ridarti la voglia, la fiducia e la forza per poterle cogliere. In questo momento sei come una pianta avizzita e ripiegata su se stessa. Ti senti sfiduciata, spenta, senza possibilità né via di scampo. Voglio che tu sappia che è normalissimo e non dipende in nessun modo dal fatto che tu sei, in qualche modo, sbagliata”.

Eccolo pronto… il guizzo di una fiammella di speranza che riparte.

Quando quel momento arriva, non importa quante altre centinaia di volte l’ho già visto arrivare in quante altre facce e sfumature e storie… Quel momento è quello che dà un senso alla mia vita.

E credimi, arrivare a scoprire di avere un senso non è stata cosa per niente facile nemmeno per me…Ex frustrato ingegnere-ma-volevo-fare-altro, oggi ho una storia a lieto fine da raccontare. Ma non è sempre stato così, anzi.

Per quasi vent’anni sono stata un altalenare fra le Sara, i Marco, le Alessandre, i Luigi, i Marcello, le Lisa, i Mattia… che oggi bussano alla mia porta alla ricerca di una risposta. Solo che io una volta non l’avevo.

Non avevo per niente le idee chiare come le ho oggi. Ed ho sudato veramente sangue per riuscire a venire a capo dei mille sgambetti e tranelli che il nuovo mercato del lavoro ci ha messo davanti, soprattutto dopo l’arrivo della crisi del 2009.

Per questo motivo ormai da anni dedico ogni goccia delle mie energie a diffondere quello che ho imparato e tradotto sistematicamente nel modo più semplice e replicabile possibile.

– “Quello che dobbiamo fare per primissima cosa, Sara, è lavorare sui due pilastri portanti che, se non sono a posto, ti impediscono di guardare al futuro con serenità e fiducia”.

– “Quali sarebbero?”

– “Il primo è il senso di meritare.

– “Cioè?”

– “Cioè, se io ti chiedessi che cosa senti di meritare tu, nella tua vita, cosa mi diresti?”

– “Beh… ti direi che merito di avere una casa, una famiglia, un buon lavoro… insomma una vita tranquilla”

Una vita tranquilla, una casa, una famiglia, un buon lavoro… niente di strano apparentemente non trovi?

Decisamente… “una vita normale”. Quella che vorremmo tutti, alla fin fine, giusto no?

 

 

A Sara e a chi incontro di persona lo spiego con più delicatezza ma a te che non posso vederti negli occhi e non posso guidarti, passo dopo passo, a capire come stanno le cose veramente, devo dire le cose senza mezzi termini!  

Ti aspetti troppo poco dalla vita

 

Non ti innervorsire. E’ vero, non ti conosco e non ho la minima idea di chi sei, cosa fai e cosa pensi o speri. Ma questa è una questione dimostrabile scientificamente.

Sono certa che se lavorassimo a tu per tu, anche solo per un paio d’ore, ti dimostrerei con assoluta chiarezza che quello che sto dicendo è la verità.

Anche nel tuo caso: ti aspetti troppo poco dalla tua vita.

Sai perché ne sono così sicura?

Perché IO stessa mi aspettavo troppo poco dalla mia vita nonostante avessi passato quasi vent’anni a fare corsi di crescita personale e studiare libri di ogni genere tipo perché volevo una vita migliore…

Il fatto è che, per come siamo cresciuti, non abbiamo assolutamente sviluppato nessun PIANO D’AZIONE per pensare veramente in modo strategico e intelligente alla nostra vita e alle nostre aspettative.

La conseguenza di questo è che il nostro orizzonte è LIMITATO e non riusciamo a vedere lontano quanto potremmo.

Per cui, per forza di cose, ci aspettiamo cose limitate.

Ci aspettiamo di trovare “un lavoro che almeno mi posso fare il mutuo e comprare casa”, di avere un lavoro non troppo lontano da casa perché così almeno posso vedere i miei figli al volo nell’ora di pausa pranzo…

Ci aspettiamo di poter arrivare a fine mese dignitosamente e magari possibilmente fare anche un paio di settimane di vacanze all’anno al mare…

 

Ma questo NON è avere aspettative.

Questo NON è sentire di meritare grandi cose.

“Sì sì ok, Erica, bel discorso, ma adesso torniamo alla vita reale, basta con i sogni”.

Se questo è quello che stai pensando, hai DAVVERO bisogno di leggere il mio libro Un Lavoro Che vale per una vita che vale. Dove ti dimostro, fatti e numeri alla mano – da buon ingegnere che è in me – che OGGI alzare il tiro delle tue aspettative, “sognare in grande”, non è un di più per pochi ma l’unica reale strategia di successo professionale ed economico nel nuovo mondo del lavoro “liquido”.

Purtroppo la maggior parte di noi si è così abituata a vivere una vita “testa bassa e lavorare” che nemmeno si permette più di pensare e sognare a dove vorrebbe essere domani.

Al più ormai ci si riduce a pensare che “domani magari vinco all’enalotto e così non ci penso più”.

Questa prospettiva così limitata, senza sogni, senza speranze, senza motivazione è esattamente il frutto di un intero sistema educativo e lavorativo creato a tavolino negli ultimi secoli per produrre uomini in serie, forza lavoro obbediente e senza troppe pretese.

MA

Oggi che quel sistema è entrato in crisi…
Oggi che ci sono robot ancora più obbedienti e con pretese pari a ZERO…
Oggi tu DEVI alzare la testa e guardare al tuo futuro, pretendendo da te stesso di crearlo a tua immagine e somiglianza.

A questo riguardo, voglio suggerirti una lettura che per me è stata molto illuminante quando ero ancora solo un frustrato ingegnere-ma-volevo-fare-altro. Si chiama “Te Stesso al 100%” ed è uno dei primi e più famosi libri di Wayne Dyer, straordinario pensatore e oratore americano, purtroppo già mancato qualche anno fa.

Il sottotitolo in italiano dice “la semplice filosofia d’essere sempre nel tuo momento migliore” e in quarta di copertina ti spiega cosa intende:

“E’ possibile liberare tutte le energie, tutta l’intelligenza, tutta la volontà che sono nascoste in noi e che normalmente non utilizziamo? E’ possibile vincere sempre? Non solo è possibile, ma si può addirittura imparare ad avere successo (e a essere felici) seguendo con intelligenza alcune semplici regole”

Ora, devo dire che ho provato a lungo ad applicare queste – e milioni di altre regole – nella mia vita, nella relazione di coppia e nel lavoro.

Ma se per la vita, la relazione, la famiglia e in generale il mio modo di affrontare le cose sono state molto utili, queste “semplici regole” e molte altre più o meno semplici proposte da altre centinaia di autori che ho letto in tutti questi anni, queste regole incredibilmente non riuscivano mai ad aiutarmi nel trovare una quadra per quanto riguardava la mia situazione di insoddisfazione lavorativa.

Del resto, quando hai una laurea importante conquistata con sudore o comunque un bel lavoro ben pagato e tutti ti invidiano perché tu sei così fortunata…

come fai anche solo a confessare che in realtà vorresti mollare tutto e ripartire da capo facendo tutt’altro, ma non sai bene cos’altro???

Eh… Esatto, non è semplice.

Anzi, sembra piuttosto impossibile. Conferma ne sia il fatto che sono rimasta per ben 18 anni a marcire nella mia insoddisfazione, fra tentativi di distrarmi e somatizzazioni di ogni genere e tipo.

L’unica cosa che mi ha permesso di uscire dal tunnel è stato il SECONDO pilastro che ho spiegato, quel giorno a Sara:

“Vedi Sara, una volta affrontato il senso di “meritare” in modo serio e strutturato, il secondo pilastro Sara su cui dobbiamo lavorare è il tuo SENSO DI ESSERE CAPACE. Ma attenzione. Non intendo “essere capace a fare l’avvocato o a fare la mamma o la compagna o qualunque altra cosa che sai già fare.

Perché sapere di essere capace di quello che già sai di essere capace ti porterà a circuitare sempre negli stessi spazi e percorsi. Quello che dobbiamo invece sviluppare è il tuo senso che SEI capace di ottenere quello che vuoi, in un modo o nell’altro ti sai dotare di quello che ti serve per arrivare fin qui

Probabilmente, come Sara anche tu mi guarderesti stranito perché ti sembrerebbe che, se oggi non stai facendo quello che vorresti è perché non sai ottenere quello che vorresti, giusto?

Sbagliatissimo.

Se oggi non hai quello che vorresti non è perché non lo sai ottenere. Ma perché non sei stato chiaro abbastanza a definire quello che volevi.

Prova a pensarci. Hai scelto il lavoro che ora fai per quale motivo?

Con ogni probabilità perché volevi “un buon lavoro, una famiglia, una vita tranquilla”, visto che nessuno ti ha mai insegnato – né forse permesso – di pensare abbastanza in grande, come abbiamo detto prima nel primo pilastro.

E quindi, quando poi il sistema economico è crollato con il 2009, niente di più ovvio e scontato che tu ti sia ritrovato su un campo minato. E niente di più ovvio e scontato che tu non abbia la minima idea di come e cosa fare per cambiare la tua situazione.

Per cambiare rotta il mio consiglio è: comincia a lavorare sui due pilastri. Per questo ti do due consigli su cui puoi metterti subito all’opera e già migliorare in modo netto la tua situazione attuale. Prova e vedrai.

Quindi

PUNTO DI LEVA N°1: Sentire di Meritare, in grande.

Per farlo ti suggerisco, oltre a leggere il libro di Wayne Dyer di cui parlavamo prima, di prenderti del tempo e fare una lista di tutto quello che vuoi o che vorresti.

E se hai voglia di sfidarti un po’ di più, ti suggerisco un altro esercizio che per me è stato incredibilmente utile per spingermi, disciplinatamente, a pensare più in grande e a chiedermi – e aspettarmi – di più. Si tratta dei “101 desideri”, qui in Italia reso famoso da Igor Sibaldi. Molto semplicemente, c’è un suo video in rete di circa una mezzoretta che ti spiega cosa e come fare.
Se avrai la tenacia e la disciplina per farlo, potresti stupirti di quello che comincia a succedere dentro di te

PUNTO DI LEVA N°2: Sentire che sei già stato CAPACE di grandi cose.

Anche solo il fatto che stai ancora leggendo questo mio “messaggio nella bottiglia del web” lo dimostra. Tu VUOI di più. Una parte di te VUOLE poter credere di più. E’ tuo dovere dare a quella parte di te gli STRUMENTI, le CONOSCENZE e la STRATEGIA per andare dove merita e sogna.
Quindi? In pratica?

Qualunque sia la situazione che in questo momento ti blocca, prendi zio Google e tartassalo di domande e di richieste. Non riesci ad andare d’accordo con tuo figlio adolescente? Chiedi a zio G. Non riesci a trovare l’amore della tua vita? Chiedi a zio G.

Trovare le risposte non sarà semplice perché nel mare del web, nel mondo dell’informazione in cui viviamo purtroppo oggi la cosa difficile è sapere QUALI domande fare. QUALI alternative esistono là fuori che tu non conosci.

Solo che, già che non le conosci… come fai a cercarle?

Per questioni di cuore, di relazione o di figli potrei dirti magari la mia davanti ad un caffè se ci incontrassimo un giorno.

Ma per questioni di LAVORO, ho trascritto e tradotto in modo sistematico – al limite dell’ossessione – tutto quello che mi ha permesso di risolvere la MIA insoddisfazione professionale e trasformare il tutto in un percorso perfettamente ripetibile e alla portata di chiunque.

Puoi evitarti i miei 25 anni di frustrazione, errori, dolori, esaurimenti, stress, sangue, sudore e lacrime e fare tesoro della capacità di sintesi di un ingegnere per avere a tua disposizione esattamente le domande precise da fare a te – e a zio G – per scoprire quali alternative migliori ci sono nel mondo del lavoro per te oggi.

E, soprattutto, come fare a raggiungerle senza rischiare di perdere tutto quello che già di buono hai conquistato fin qui.

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“Non azzardarti a volare basso, amico mio. Non sentirti in colpa se hai obiettivi alti. Quei sogni sono stati piantati come semi nella tua anima per un motivo ed è tuo dovere onorarli. Non frenarti nella vita solo per confortare o placare chi ti sta intorno. Trattenersi non è umiltà: è mentire”  Cit. B. Burchard